Il dollaro è la moneta che regola gli scambi internazionali e sulla cui forza viene a basarsi il sistema commercial mondiale. Per questo motive una sua svalutazione, così come un suo weccessivo apprezzamento, potrebbero costutire difficiili precendenti nell’intero sistema finanziario.
Era in 1971 quando gli accordi di Bretton Woods vennero sospesi propri dagli Usa allarmati dal cambiamento del trend internazionale ma sopratutto dall’allarmente situazione che si stave verificando ormai da anni all’interno dei suoi confine nazionali. Nello specific a soffrire era principlamente la bilancia commercial e la perdita di competitività dell’economia di Washington sul panorama mondiale, soprattutto contro una imprevista ripresa dell’economia tedesca e del marco, ormai diventato una moneta particolarmente forte rispetto al dollaro. Forse troppo. I primi segni di tensione con Berlino arrivano verso il 1969 ma intanto la situazione si evolve rapidamente tanto che nel giro di un paio d’anni Washington deve prendere provvedimenti seri. La prima conseguenza è la graduale perdita di importanza del dollaro rispetto al marco, e allo yen le due economie che, al di là di Russia e Usa, giocano un ruolo di primaria importanza nel mondo, anche considerando il fatto che sono le principali perdenti del secondo conflitto mondiale, cosa che lascia perplessi se si analizza lo spazio temporale.
Lo squilibrio toccato, però è grave per il resto delle valute che hanno perso il punto di riferimento del dollaro come Colonna portante. Ma non è solo il dollaro a venir penalizzato, ma anche tutto il sistema statunitense che trova una serie di competitor superiori spesso alla sua portata. Uno scenario che crea, al di là della ventennale deboleza del dollaro stesso che arriva fino al 1995, un contrasto nel sistema capitalista costretto a ridimensionare l’uso del dollaro come punto di contatto tra le valute. E qui entrano in campo interessi anche politici soprattutto considerando che la svalutazione del biglietto verde, favorita attualmente dalla Federal Reserve ormai da anni, e che adesso sta tentando di trovare una via d’uscita, chiama in causa valute straniere, come logico, ma spesso nemiche. Un esempio? Il ritorno in auge dello Yuan, la moneta cinese, sempre più usata negli scambi. Questo almeno da quando la Cina ha conquistato un posto nell’Empireo delle grandi potenze mondiali. Peccato che adesso, prima ancora di toccare il vertice, visto che Pechino è la seconda potenza economia mondiale, potrebbe essere costretta a rivedere la sua intera strategia in vista di una crisi interna ed esterna che mette a repentaglio una crescita miracolosa ormai trentennale.